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A Latronico si scrive: il libro di Albino, fra denunce e qualche contraddizione. Commento

Posted on | ottobre 25, 2012 | 5 Comments

Latronico, Albino Rossi scrive: "il mio lungo cammino"Albino in 3 volumi ed in particolare con l’ultimo[i], cui più direttamente mi riferisco, ha raccontato la sua storia, dall’infanzia, l’età dei giochi così come si svolgevano in un piccolo paese, e via via il viaggio verso l’età adulta e della responsabilità, citando luoghi, fatti, modi di vivere che a molti di noi lettori non più giovani evocano ricordi e suggestioni coinvolgenti. Racconta della sua famiglia, per molti tratti diversa dallo standard di un paese, ma forse anche di territori più ampi e con offerte di più ricche occasioni di scambi. Una famiglia laica, socialista, di colti artigiani del legno che offrì ad Albino opportunità di riflessioni che certo pochi altri a Latronico allora ebbero.

Le abitazioni nella campagna di Latronico, piccole fattorie funzionali, sostituite da insignificanti cubotti, tutti uguali, frutto di una campagna di investimenti. Nella foto 2 e 3 sono visibili i resti delle coltivazioni.

Ma in realtà Albino – così io la vedo – oltre a descrivere le proprie vicissitudini rappresenta la storia del Partito Socialista in Lucania a partire dagli anni ‘50-‘60 circa: e non dico a caso “rappresenta”, perché di fatto il lettore, se osservatore esterno e lontano dagli intrecci locali, è posto di fronte ad un palcoscenico su cui recitano personaggi politici che, a quell’osservatore, risultano effimeri e improduttivi ai fini di una seria ricerca di vie praticabili di sviluppo del territorio e di percorsi possibili cui le sue popolazioni potrebbero essere avviate: un palcoscenico politico, insomma, per anni tenuto dalle stesse figure che governano, si fa per dire, in serrata lotta fra di loro.

Viene da chiedere: lotta, disaccordi su percorsi politici? Sulla scelta di programmi? Su una diversa concezione del futuro, del modello di sviluppo della Lucania? Recita di contrasti sani, auspicabili, creativi, dunque? Ahimè, no, lo spettatore attende invano e ben presto è deluso, perché in realtà si trova di fronte a due schieramenti tenacemente opposti ed in mezzo una clinica privata – motivo del contendere, altro che i progetti - portatrice di interessi vari per cui ad un gruppo politico essa conviene ad un altro… ovviamente no.

Ed è tutto quanto c’è da capire: per quel poco che di politica io capisco.

Ma forse anche per quello che Albino, spesso con grande sofferenza, cerca di comunicare, se è vero che sono ricorrenti frasi come. “…braccio di ferro; guerra senza confini e senza esclusione di colpi; tenere le mani nella pasta del governo regionale, il partito era diventato più che un contenitore di idee comuni il luogo di scontro di tattiche e di interessi variegati; ricerca di approdi di fortuna; questa babele in cui nessuno sa quello che è e quello che vuole…” e via di seguito.

Attenzione , però, non siamo di fronte ad un sentito dire, ma ad un testimone diretto degli avvenimenti che peraltro talvolta ha determinato; come dire, notizie di prima mano: il che dà a quanto egli scrive un valore davvero particolare; anche per questo il libro mi colpisce.

Albino compie un errore di valutazione, quando elogia le caratteristiche della Clinica giustificandone la presenza: lo scuso, fa un ragionamento non medico, ovvio, e non conosce i criteri di valutazione della Sanità[ii]. Ma avrebbe fatto meglio a tacere. Ciò comunque è di secondaria importanza oggi.

Quale vantaggio ne possa essere derivato, dalle infinite battaglie e favoritismi, alla popolazione non è dato sapere.

O meglio, è dato sapere eccome. Basta leggere il libro di Egidio, la cui vita corre in parallelo con quella di Albino benché su un altro piano, che dà prova delle enormi difficoltà per un artigiano di affermarsi, mentre al di sopra di lui i politici si squartano per l’affermazione personale o di interessi collegati. Oppure se guardiamo la fuga emigratoria degli anni ‘60-‘70 e successivi che svuotò i nostri paesi di persone e di alte professionalità artigianali, svendita di un capitale enorme e conseguente impoverimento su tutti i piani.

Latronico, un Viadotto Brutto Inutile e Costoso: Così definimmo tanti anni, nelle manifestazioni avverse alla costruzione, il viadotto di accesso al paese che immette direttamente nel centro tutto il traffico, soffocandolo. A mò di festone occludente si impone sul profilo di Latronico da ovest. Chi si affaccia verso la valle del Sinni ha lo sguardo rotto dal manufatto. A distanza di anni ancor più lo considero invadente e senza pregi. Ennio Scaldaferri (foto E. Scaldaferri e A. Bruno)Avverto, intimamente avverto, che questo sia una della maggiori colpe dei nostri dirigenti politici: l’avere una enorme ricchezza, averla svenduta, senza capirlo, senza accorgersene, senza averne sentore, accidenti a loro ! Ci vorranno generazioni per recuperarla, se mai si riuscirà, e nel testo il nostro Autore lo recita a chiare lettere: “…dotare… il territorio delle opere necessarie per mantenere in loco gli insediamenti dei nuclei rurali… e tenere i cittadini radicati nel loro naturale contesto socio-ambientali… evitando alle persone di scappare e di preferire le soffitte di Torino o le baracche di Milano… Purtroppo la stagione di costruzione di opere di civiltà e di infrastrutture è venuta tardi… a territori già abbandonati”. Che in termini semplici semplici semplici significa incapacità di programmare da parte della classe politica-dirigenziale, quella che litigava.

Ma intanto qua e là definiamo Garibaldi un bandito, intanto corrono rappresentazioni, discussioni e cenni neo-borbonici che spingono sottilmente a pensare che i guai del Sud vengono tutti dalla unificazione – leggi conquista del Nord – finendo così con il giustificare alcune nostre caratteristiche negative e una classe politica dirigente ignava: attenzione, VOTATA e quindi SCELTA. E benedetta anche, se vado con la mente alle processioni del Santo Patrono cui negli anni e per anni ho assistito: eccoli lì, sempre lì, a ondate generazionali, schierati, silenziosi e… devoti. Ma inetti. In questa trappola giustificatoria cade anche Albino, ed è strano dal momento che quel che narra l’ha vissuto.

La lettura, e la rilettura, di questo testo non è stata per me né semplice né scontata. Mi ha suscitato momenti piacevoli nel ricordo di fatti trascorsi insieme, vissuti e rievocati con vera emozione: come posso sottacere fra l’altro che Albino mi definisce il suo fraterno amico? Ma anche indotto momenti di malessere allorché lo vedo impigliato in situazioni che i diversi percorsi di vita che abbiamo poi compiuto, io lontano all’università e poi per lavoro, con esperienze molto coinvolgenti e distanti da quelle che si vivevano in Lucania, mi rendono incomprensibili.

Il mio fraterno amico è colui che mandò al diavolo l’imprenditore, giudicato ladro, che pure gli aveva assicurato il suo primo lavoro, preferendo il licenziamento e il restare poi a lungo in grande difficoltà lavorativa, piuttosto che accordarsi, come dire spartire. Guardandoci intorno oggi, vien da piangere.

Ma com’è poi che da Sindaco laico, lui, educato in una famiglia rigorosamente socialista sui principi della rivoluzione francese, “fa orecchio da mercante” ed appoggia e sovvenziona – spero non indebitamente – una istituzione clericale senza far nulla, probabilmente, per la realizzazione di una struttura pubblica educatrice, della cui mancanza egli stesso dice di aver sofferto da piccolo, e quindi ancor più consapevole della sua importanza?

E com’è che definisce miscredenti coloro che non la pensano secondo le sue acquisizioni cattoliche, lui che da piccolo “… trascorse belle serate con socialisti pensanti, disposti a semicerchio davanti al focolare, così nutrendosi di idee socialiste e di convinzioni per lo più estranee alla chiesa cattolica…”? Peraltro scambiando per insensibilità verso la religione quello che più probabilmente era un portato laico alla comprensione del mondo circostante di uomini che credevano alla libertà nell’uguaglianza, piuttosto che alla libertà senza uguaglianza.

E perché non ha fatto di più in difesa di quel MS che definisce “… prototipo del socialista vero, leale all’inverosimile, navigatore onesto in un mare popolato da trasformisti, affaristi, privi di morale… Ma quasi sempre primo dei non eletti?...”. Che amarezza leggere questo capitolo!

E com’è che si fa dire, essendo Sindaco, “… sei soltanto una brava persona…”, come dire un onesto povero cristo, da un avvocato di incerte esperienze che del tutto evidentemente avrebbe gradito favori non ottenuti e non fugge da lui –anzi non lo scaccia – e dai suoi sodali politici?

Latronico—La storia della chiesa di San Nicola (XII°-XIII° sec.) dagli anni’ 30 ad oggi. Costruzione in pietra, a navata unica con torre campanaria quadrata e presbiterio  su un piano rialzato, soffitto a cassettoni.  Sovrasta la piazza da cui in passato era visibile (foto 1 e 2, anni ’30 e ’40, vedi freccia). Viene ristrutturata negli anni ‘70-’80 con conservazione delle linee. Le foto 3 e 4 ne mostrano la struttura. Successivamente subisce una ristrutturazione non conservativa, occlusa sul davanti da costruzioni, scompare alla vista. Ennio ScaldaferriContraddizioni che io noto. Insisto, però, sono solo mie impressioni, che nulla tolgono a un testo in cui con coraggio e credo esposizione personale si raccontano i mali della nostra società.

Ma nel libro di Albino vi è davvero tanto altro. Vi troviamo la descrizione del graduale declino del partito socialista, annotazioni sul craxismo, il lusso sfrenato di uno degli ultimo congressi cui egli assiste allibito, e poi l’ascesa dei progressisti e il ritorno delle  “spartonze”, il berlusconismo.

Né va sottovalutata la descrizione della Cassa per il Mezzogiorno e di quello che hanno rappresentato varie classi di professionisti nel campo delle costruzioni ai fini di uno sviluppo sostenibile del Paese, del Mezzogiorno. Egli qui è impietoso, come chi sa e forse ha dovuto subire.

Leggiamolo, allorché parla dell’edilizia a Latronico: “… ci scoprimmo tutti urbanisti ispirati, mentre il migliore di noi in quell’occasione avrebbe meritato di essere preso a calci nel sedere e cacciato dai contesti in cui sui si discuteva della materia… negavamo la conservazione dei centri storici che vedevamo solo come contesti urbani depositari di miseria…. Non vi era in noi conoscenza della materia urbanistica e nessuno vedeva lontano… Fummo miopi e forse anche interessati, perché riuscivamo a vedere solo l’esigenza di aggirare la legge per consentire una edilizia quasi spontanea e i conseguenti ricavi professionali nella progettazione di tanti obbrobri…. Arrivammo ad elevare l’ignoranza a fattore ideologico…!”.

Questo passo mi addolora profondamente e credo che doloroso lo sia per tutti coloro che come me vivono lontano dal Paese, ma periodicamente tornano, instancabilmente: e si trovano di fronte quegli obbrobri, conseguenza imperdonabile di interessi e di ignoranza. Siamo negli anni ’70 e uno dei frutti di quel connubio è ad esempio il raccordo stradale che opprime e chiude il lato ovest del paese. Ricordo anche alcune manifestazioni fatte contro tale costruzione in quegli anni. Ma ad uno sguardo attento sono tanti gli stravolgimenti che hanno guastato il profilo dignitoso e lineare, anche povero se vogliamo, delle nostre strade. Perché quando hai una situazione ambientale piccola e fragile, un tessuto delicato, costruire è ancora più difficile. Bisogna essere ancora più attenti e colti. Ero in fondo a via Roma, tempo fa, fa con G: guardavamo il profilo delle piccole case, a 2 piani, le terrazze con belle ringhiere, lavoro dei nostri “furgiari” (fabbri), disposte in due ordini – una lunga al primo piano e due invece al secondo piano – che nel loro insieme danno ritmo alla strada e costituiscono un esempio architettonico gradevole.

Testo alternativo Chiesa di san Nicola – Latronico: Negli ’70 – ’80 è sottoposta ad una ristrutturazione tutto sommato conservativa. La foto 1, a sinistra, lo dimostra.. E’ un particolare tratto da una vecchia cartolina. Notate la differenza dei lampioni rispetto alla foto precedente Nella foto a destra la chiesa come appare ora. Intonacata, la struttura in pietra è scomparsa, il campanile ha una cuspide (vedi precedenti foto) dalla piazza purtroppo è solo parzialmente visibile come dimostra la foto che ho scattato dalla collina della”Difisedda”. Ennio Scaldaferri E poi le rotture. Irriguardose, prepotenti, tanto più prepotenti perché sovrastano il contesto modesto che hanno intorno. E che dire di quella sopraelevazione che occlude allo sguardo la chiesa di San Nicola, del XII-XIII sec. e la ristrutturazione della stessa? E io ci metto anche la eliminazione della Curva a Piama chi se ne ricorda oramai? – che difendeva la Piazza dall’aggressione della automobili, riversate invece ora direttamente in centro dal raccordo stradale: avevamo il senso antico della agorà – basta vedere vecchie foto – ma ci è sembrato preferibile un parcheggio, al contrario di quel che succede in tanti altri borghi in Italia.

E’ quanto ci dice Albino. E’ quanto i professionisti hanno fatto. Chi ama il paese non può non accorgersene e affliggersi. La lettura del libro di Albino è di fatto sofferenza, per le riflessioni che induce, come d’altra parte lo è per altri versi quello di Egidio.

Nell’ultimo capitolo accompagniamo l’Autore lungo il percorso della sua conversione: va letto così com’è, astenendosi da critiche, perché questo è territorio privato: cosa egli pensi, ad esempio, della “Divina Provvidenzaè personalissima convinzione verso la quale non si ha diritto di commento: nondimeno questo sì che si può dire, ed è la sensazione, ben avvertita, che in alcune sue frasi vi sia se non la condanna, quanto meno la disapprovazione per chi invece è lontano dal suo concetto di divina provvidenza; quasi a proferire: “… quegli avvenimenti parlano chiaro, è evidente, è Divina Provvidenza, è Grazia del Signore, come fai a non capire che non c’è altra spiegazione?…”. Hai allora la percezione di una diversità che limita il colloquio e lo scambio. Barriere, insomma. Ma la stessa sensazione ti coglie in altri momenti, quando ad esempio si parla del Perdono: anche Perdono e fede da Torino Spiritualità, colloquio fra E. Bianchi e G. Zagrebelskyqui, potremmo porcene di domande: per l’Autore non c’è dubbio, è esperienza di fede. Ma, ad esempio, non potrebbe avere una valenza sociale?

Quanto a me, io non amo le conversioni; il bisogno di sacralità è insito nell’uomo e non certo appannaggio o proprietà di questa o quella fede, come qua e là traspare. Ho profondo rispetto per le “Religioni”, ma non per la loro esteriorizzazione e per le forme che questa assume, troppo spesso invadente verso chi ha un altro pensiero. D’altronde in questo capitolo troviamo, a conferma, alcune descrizioni di interventi “religiosi” che di religiosità ne avevano quanto ne ha una pietraia. Val la pena leggerle, perché c’è di che restare stupefatti.

Tuttavia la conversione dell’autore è certo fatta di riflessioni e frutto di approfondite e attente letture, dagli atti del Vaticano II alla Pacem in Terra e così via, quindi di faticose acquisizioni e se questa fatica la cogli, vai in fondo al capitolo: “… in politica” egli dice “sono partito incanalato nel socialismo massimalista e sono approdato al socialismo democratico e liberale… In questo periodo di lunga transizione ho sviluppato  in me una formazione cristiana, che era arida, nella parte preminente, della mia famiglia quando io sono nato… La mia dimensione sociale… andava rivestita da uno spirito che amalgamasse in una morale più ampia, senza limiti, così come senza limiti…”.

Si è aridi senza quel rivestimento. E’ il messaggio. Non riesco a condividerlo, anzi vedo la drammatica frattura fra i concetti qui espressi e la vasta cultura laica.

E’ tempo di concludere, benché ci sarebbero altri due capitoli da commentare: ma uno è affatto personale – l’autore descrive il disagio e la sofferenza patiti allorché resta senza lavoro non più giovane – che non si può far altro che leggere in silenzio, stupefatti per quel che gli succede; l’altro è una personale lettura di una sentenza passata in giudicato (credo di aver capito) che io avrei fatto volentieri a meno di leggere.

Dopo il libro di Albino andrebbe letto quello di Egidio. Questi suda sette camice nel tentativo di affermare la sua officina; lo stesso paese, Latronico, due scenari vicini e lontani nello stesso tempo: la fatica quotidiana se non per la sopravvivenza, almeno per una dignitosa affermazione lavorativa da una parte e la descrizione sistematica di una lotta per guadagnare privilegi e vantaggi dall’altra. Ed una schiera di personaggi che girano intorno.

Poi i temi della fede, forse eccessivamente esibita in entrambi i testi ed escludente.

Sembrano 2 mondi distanti mille miglia, ed invece è un solo teatro con 2 palcoscenici vicini.

Solo che l’uno vede l’altro e l’altro non vede l’uno.


[i] Albino Rossi. “il mio lungo cammino: dal socialcomunismo verso l’amore universale” – Creged ed. 2011.

[ii] Per avere una idea di quanto sia complesso valutare una struttura sanitaria, ospedaliera o meno, e quindi esprimere un giudizio sulla sua “qualità”, si può consultare:

Focus – Guida Salute – I migliori ospedali d’Italia – speciale di focus n.237 e o meno, disponibile in linea sul sito di Focus

D. Orlandini, G. de Bigontina, E. Scaldaferri – Manuale di accreditamento delle strutture diabetologiche, 2° ed. – Ed Tierre 1999, disponibile in linea sul sito AMD (esiste una 3° edizione non disponibile in linea)

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Comments

5 Responses to “A Latronico si scrive: il libro di Albino, fra denunce e qualche contraddizione. Commento”

  1. Annibale
    ottobre 26th, 2012 @ 13:53

    Scrivo questo commento ancora un po’ turbato dal sisma che ha colpito stanotte il nostro territorio, fenomeno che va tristemente ad aggiungersi alle tante altre difficoltà che pure lo affliggono.
    Una di queste problematiche è quella che, penso (io non l’ho letto), emerga chiaramente dal libro di Albino, ovvero la malapolitica e le occasioni perdute di Latronico. Mi riferisco particolarmente alla mancata progettazione ed attuazione di norme che avrebbero dovuto mettere in primo piano la conservazione del paesaggio urbano e naturale.
    Prevalentemente tra gli anni ’70 e ‘80 si sono effettuati i maggiori scempi urbanistici e allo stesso tempo non si sono messe in atto azioni possibili (utilizzando ad esempio i fondi del terremoto o altri) per un recupero conservativo e funzionale soprattutto del centro storico.
    In questo senso, il libro appare come un’autodenuncia, in quanto Albino è stato uno dei tanti fautori di questa politica, nonostante che l’amministrazione di sinistra da lui retta sia stata, a mio parere, la più innovativa e democratica dal dopoguerra in poi.

  2. Ennio Scaldaferri
    ottobre 26th, 2012 @ 17:00

    Grazie Annibale. credo che sia così. 1) Occasioni perdute; 2) mancata progettazione; 3) attuazione di norme. Tutto lì. Ma non é poco. Il punto 2 e 3 significano – ci vuole davvero poco a capire, basta guardarsi intorno – che se li realizzassimo, le “spartonze”, la divisione della torta, insomma, diventa complicata. Ma più difficili anche le posizioni, grandi o piccole, di potere. Forse ce la potremmo fare.
    Per il punto 1 la vedo più difficile: é espressione anche di mancanza di sentire, di cultura, é non accorgersi. Lo ricordi il vecchio detto latronichese? E’ identico nel Veneto. Solo che “Tavulon’u” diventa “To(e)a”

  3. Fatima
    ottobre 26th, 2012 @ 17:39

    Lettura impegnativa il tuo commento: molto accurato; anche se, naturalmente, mi sfuggono molti particolari non conoscendo né i due libri, né la situazione passata e presente, mi sembra di essermi fatta un’idea di quanto scrivi (come dire che ti sei spiegato bene).
    Due domande (forse stupide): 1. che cosa sono le spartonze?
    2. quando dici di due mondi lontani intendi tra di loro (cioè tra quello di Albino e quello di Egidio) oppure tra il tuo mondo di oggi e quei due mondi di Latronico?

  4. Ennio Scaldaferri
    ottobre 27th, 2012 @ 10:42

    Grazie Mimma, mi sembra che ti sia incuriosita e da quella gran lettrice che sei non potrai fare a meno di leggere i libri in oggetto. Poi discuteremo. Comunque risponderò a questo tuo commento: prima ti invito a leggere il commento dl libro di Egidio che ho inserito poco fa.
    Spartonze (vedi commento fatto prima): diciamo… divisone della torta!
    (ho modificato il commento con una aggiunta, una specificazione: a te che piacciono le foto, che ne dici di quelle inserite, anche se raggruppate?))

  5. Fatima
    ottobre 28th, 2012 @ 17:06

    Ottima idea quella delle foto; funziona bene, anche, come le proponi, raggruppate, con commento e con possibilità di ingrandirle.

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